La storia della pizza napoletana, patrimonio dell’umanità

 

Il Comitato Intergovernativo per la Salvaguardia del Patrimonio Culturale Immateriale dell’Unesco, si riunì i primi giorni di dicembre 2017 sull’isola di Jeju, in Corea del Sud, selezionando la candidatura italiana ”L’Arte tradizionale del pizzaiuolo napoletano”, riconoscendola come parte del patrimonio culturale dell’umanità.

 

“L’Arte tradizionale del pizzaiuolo napoletano” rappresenta l’ottavo riconoscimento italiano nella lista del Patrimonio Immateriale dell’UNESCO ed è la terza iscrizione nazionale nell’ambito della tradizione enogastronomica, (dopo la “Dieta Mediterranea”, bene transnazionale iscritto nel 2013, e “La vite ad alberello di Pantelleria” iscritta nel 2014), raggiungendo in tal modo il Giappone che finora deteneva il primato con tre iscrizioni enogastronomiche.

 

L’arte del pizzaiuolo napoletano racchiude in sé il saper fare italiano costituito da esperienze, gesti e, soprattutto, conoscenze tradizionali che si tramandano da generazione in generazione. È un riconoscimento storico che giunse dopo un complesso lavoro negoziale durato oltre 8 anni.

 

Il mestiere del pizzaiolo risale a secoli fa, le sue radici, come per i più grandi patrimoni artistici, sono incerte ma impreziosiscono di fascino quest’arte. L’origine della pizza forse è legata alla “pita greca” un pane lievitato di forma rotonda ma appiattita, chiamato anche “pane arabo”, conosciuto e utilizzato ovunque, dal Mediterraneo al Medio Oriente.

 

La nascita della pizza deriva da un prodotto ancestrale le cui origini pare risalgano ad una decina di migliaia di anni fa, il pane. A Napoli fu proprio questo tipo di pane ad ispirare la creazione del nuovo piatto, facendone un mestiere antico nato dalle mani dei mastri fornai che lo condirono con pomodoro per sfamare il popolo, dando vita alla pizza.

 

La pizza napoletana nel primo decennio del’800 era già famosa per il popolo, ma non la sdegnava neanche la classe nobile: era infatti protagonista di feste regali e la si faceva cuocere nei forni di Capodimonte.

 

Si narra che nel 1889 il cuoco Raffaele Esposito, proprietario di una taverna di Napoli chiamata "Pizzeria di Pietro e basta così", fondata nel 1780 da Pietro Colicchio (ancor oggi esistente con il nome di pizzeria Brandi), fu convocato da un funzionario della real casa nella reggia di Capodimonte, dove si trovavano in vista il Re d’Italia, Umberto I, e sua moglie, Margherita di Savoia.

 

Il buon Esposito prepara tre pizze diverse e la regina dichiara di apprezzarne in particolar modo una, cioè quella che sarebbe diventata la margherita.
A incoronare Raffaele Esposito re dei pizzaioli ci sarebbe poi una presunta lettera, datata 11 giugno 1889, firmata da un certo Camillo Galli, capo dei servizi di tavola della real casa: “Le confermo che le tre qualità di pizze da Lei confezionate per Sua Maestà la Regina vennero trovate buonissime”.

 

Da quel 1889, ogni qualvolta che la Regina Margherita tornava a Napoli avrebbe sempre invitato a palazzo Raffaele Esposito che con i suoi attrezzi del mestiere si avviava assieme alla moglie alla reggia dove preparava la pizza tanto apprezzata dalla sovrana.
È nata così la regina delle pizza, la Margherita.

 

 

I più estremisti sostenitori dell’arte della pizza sostengono l’esistenza di due tipi di pizza: la marinara e la margherita.
La pizza marinara fu la prima pizza vera napoletana: era il piatto tipico preparato dai marinai per i loro lunghi viaggi. Gli ingredienti di questa pizza sono passata di pomodoro, aglio e origano e olio d’oliva, tutti prodotti con conservazione a lungo termine che permettevano di sfamare i marinai durante le loro rotte.