11 novembre 1918 – 11 novembre 2019 - I 101 anni della Polonia Indipendente

 

 

“Notifico agli Stati belligeranti e ai governi neutrali e alle Nazioni l’esistenza dello Stato Indipendente di Polonia che incorpora tutti i territori della Polonia unita”.

Con il telegramma del 16 novembre 1918 il Comandante in Capo dell’Esercito Polacco Józef Piłsudski chiedeva a Roma, Parigi, Londra e Washington il riconoscimento della Polonia e l’invio a Varsavia di rappresentanti diplomatici.

 

Dopo 123 anni la Polonia veniva ricostituita nella sua sovranità. Il dominio straniero era finito.

L’11 novembre è diventata la data ufficiale della ricostituzione della Polonia.

 

La Festa dell’Indipendenza (Narodowe Święto Niepodległości) fu istituita come ricorrenza nazionale solo nel 1937, quando venne approvata una legge che stabiliva l’11 novembre giorno ufficiale della Festa dell’Indipendenza, cioè quando le truppe tedesche, nel 1918, iniziarono a ritirarsi da Varsavia. 

 

La rinascita della Polonia, dal 1918, passerà da un’ulteriore guerra contro i bolscevichi, da conflitti locali con cechi, tedeschi, lituani, ucraini per la determinazione delle frontiere e da un’instabilità politica e istituzionale.

La ricorrenza fu celebrata solo due volte, nel 1937 e 1938 prima che Germania e Unione Sovietica invasero e si spartirono la Polonia nel 1939, dando inizio alla Seconda Guerra Mondiale.

 

Alla fine del secondo conflitto mondiale, con l’affermarsi della Repubblica Popolare di Polonia, (Polska Rzeczpospolita Ludowa, PRL) le autorità imposte dalla forte influenza sovietica, rimossero la festività dal calendario, fu ripristinata solo nel 1989 con la fine della dittatura comunista, restituendo la Polonia all’Europa.

I polacchi si erano ribellati ai loro oppressori ogni volta che avevano potuto, anche quando non c’era speranza, facendosi massacrare pur di rivendicare il diritto all’indipendenza.

 

 

24 maggio 1915 - L'Italia entra in guerra

L’Italia entra in guerra contro l’impero Austro-Ungarico, gettandosi nella Prima Guerra Mondiale dieci mesi dopo l'inizio delle ostilità in Europa. Le truppe italiane oltrepassano il confine Italo-Austriaco, puntando verso le “terre irredente”, cioè non liberate del Trentino, del Friuli, della Venezia Giulia.

L’Italia era divisa tra interventisti e neutralisti, dopo un disinvolto cambio di alleanze, dalla Triplice Alleanza (sottoscritta nel 1882 con Germania e Austria-Ungheria) all’Intesa (Francia, Impero Britannico, Russia -fino al 1917-, Stati Uniti -1917/18-, Belgio, Giappone, ed altri paesi), ottenne a conflitto concluso, le “terre irredente”, del Trentino, del Friuli e della Venezia Giulia, oltre a Trento, Trieste e l’Istria, ma non Fiume e la Dalmazia.

 

La Grande Guerra terminerà l’11 novembre 1918. Il conflitto coinvolgerà ventisette nazioni, provocando 15 milioni di morti, la dissoluzione dell'Impero austro-ungarico, di quello ottomano e la fine di quello degli Zar, travolto dalla rivoluzione bolscevica del 1917.

Il conflitto, per il nostro Paese, allora Regno d’Italia, provocò 700 mila morti e alla fine del conflitto, lasciò una profonda crisi politica, sociale ed economica.

 

La Costituzione del 3 maggio 1791 - la prima Costituzione moderna in Europa proclamata in maniera democratica. 

Il 3 Maggio 1791 fu proclamata in Polonia la prima costituzione in Europa e la seconda del mondo, dopo quella americana proclamata 4 anni prima.

La Costituzione nasce in circostanze storicamente drammatiche.

La Polonia, da oltre un secolo non riusciva a riprendersi da uno stato di grave crisi, dovuta a diversi fattori economici e politici. Dal Seicento il paese era flagellato da guerre che  devastarono l’economia. L’ordinamento politico della Repubblica nobiliare, caso singolare in confronto alle grandi monarchie assolute dell’Occidente, degenerò in anarchia. Ai gravi problemi interni si aggiunse anche la crescente tendenza espansionistica degli stati adiacenti .

 I principi di questa Costituzione hanno posto i fondamenti per l’affermazione di uno Stato moderno. La carta costituzionale è nata dall'incontro e dalla mediazione tra la monarchia di Stanislaw August Poniatowski e le forze progressiste, da quelle moderate a quelle più estremiste repubblicane. Il testo finale rappresentava il risultato dell'incontro-scontro tra il programma del re e lo schema "repubblicano" di Ignacy Potocki e Hugo Kołłątaj, ovvero i massimi artefici della riforma. Nonostante nella Repubblica di Polonia sia stato mantenuto il sistema feudale, i poteri dell’aristocrazia sono stati limitati.  La costituzione proclamata il 3 maggio dell’anno 1791 ha abolito il principio dell’unanimità (il cosiddetto liberum veto,  cioè la possibilità di bloccare il processo legislativo da un unico parlamentare), ha unificato lo Stato e ha creato un governo stabile.

Di fronte alla prima spartizione della Polonia del 1772, la Costituzione del 3 maggio ha costituito un tentativo per salvaguardare l’indipendenza dello Stato e per garantire la possibilità dello sviluppo economico e politico del paese.  Nell'Europa delle monarchie illuminate era un grande passo avanti.

La costituzione fu un atto di responsabilità: accantonare l’interesse individuale per dar precedenza al bene comune. A distanza di oltre duecento anni può essere un modello di come svolgere l’attività pubblica. Si distingue inoltre per la via scelta per introdurre i cambiamenti: non attraverso una rivoluzione cruenta ma una graduale riforma. Anche se la Costituzione non raggiunse l’intento prefissato, ne ha conseguito uno più duraturo ed inatteso: costituì un elemento fondante dell’ identità nazionale, una parte della coscienza collettiva specialmente negli anni bui in cui la Polonia fu spogliata della dignità di Stato.

L’anniversario della sua promulgazione è sempre stato vivo nei cuori dei Polacchi, sia nel periodo di prigionia che nella Polonia libera.

“La Costitusione del 3 maggio non è soltanto un documento del passato, ma anche una fonte  di forza e saggezza per i Polacchi. È un segno tangibile che la nostra nazione ha mantenuto la capacità di governare se stessa con saggezza, di gestire responsabilmente la propria libertà”. (Bronisław Komorowski, Presidente della Repubblica di Polonia dal 2010 al 2015)

Battaglia di Raszyn 1809, dipinto di Wojciech Kossak
Battaglia di Raszyn 1809, dipinto di Wojciech Kossak

La battaglia di Raszyn

La battaglia di Raszyn fu combattuta il 19 aprile del 1809 nei pressi del villaggio di Raszyn, vicino alla capitale  Varsavia, nell'ambito della guerra della quinta coalizione delle guerre napoleoniche; la battaglia vide affrontarsi le forze dell'Impero austriaco, comandate dall'arciduca Ferdinando Carlo Giuseppe d'Asburgo-Este, e l'esercito del Ducato di Varsavia, guidato dal principe Józef Poniatowski e rinforzato da un piccolo contingente alleato proveniente dal Regno di Sassonia.

La battaglia si concluse con una vittoria difensiva delle forze di Poniatowski, che furono in grado di respingere gli assalti austriaci; vista però la posizione precaria, Poniatowski si ritirò al termine della battaglia, lasciando Varsavia alle forze di Ferdinando.

Per questo successo il principe Poniatowski venne insignito dell'onorificenza francese della Legion d'Onore.

Appena gli austriaci si ritirarono all'altro lato del pantano, il principe Poniatowski ordinò alle sue forze di convergere verso Varsavia,nel frattempo il corpo di spedizione della Sassonia si ritirava verso il proprio paese e resosi conto che le fortificazioni della città si trovavano in cattivo stato di conservazione ,cambio le disposizioni e decise di lasciare Varsavia indifesa e ritirarsi nelle città vicine (soprattutto a Modlin e Serock). Lasciò la capitale con una piccola guarnigione per opporre resistenza al nemico che l'assediava, operando una manovra diversiva per obbligare gli austriaci a trascurare altri fronti.

Durante le settimane seguenti, le truppe del generale Henryk Dabrowski difesero il territorio polacco e assediarono con la cavalleria la città di Leopoli. Poniatowski lasciò solo una piccola forza vicino a Varsavia per impedire agli austriaci di lasciare la capitale, e si trasferì col resto delle sue forze verso il sud, conquistando la città di Cracovia.

Il  14 ottobre del 1809 venne firmato il Trattato di Schönbrunn tra Austria e Francia, nel quale si conveniva che la prima perdeva approssimativamente 50.000 chilometri quadrati di territorio, abitati da oltre 1.900.000 persone. I territori annessi al Ducato di Varsavia includevano le terre di Zamos'c' e Cracovia, così come il cinquanta per cento delle entrate delle miniere di sale di Wieliczka.

 

5 Marzo 1940: il massacro di Katyn

Il 5 marzo 1940 il Politburo sovietico firma l’ordine di esecuzione di circa 22.000 prigionieri polacchi.

Fra questi, in spregio a tutte le Convenzioni, ci sono oltre 14.000 prigionieri di guerra, in magioranza ufficiali polacchi.

Furono giustiziati con un colpo alla nuca e gettati in una fossa comune, molti di loro con le mani legate.

Il massacro, compiuto con agghiacciante sistematicità dai sovietici, passa alla storia come massacro di Katyn. Le fosse comuni furono scoperte dai tedeschi nel 1943 e l’eccidio sarà ampiamente sfruttato dalla propaganda nazista.

l’Unione Sovietica negò le accuse indirizzategli dal governo polacco in esilio a Londra, attribuendo ai nazisti le responsabilità del massacro.

Per 50 anni la vicenda rimase sospesa. L'intero mondo comunista era pronto ad accusare di propaganda antisovietica chiunque avesse solo sospettato un coinvolgimento di Mosca.

Furono anni di menzogne, accuse reciproche e parziali ammissioni, con mezzo mondo convinto che la strage fosse stata commessa dai nazisti.

Solo nel 1990 Boris Eltsin (primo Presidente della Federazione Russa) ammetterà la responsabilità sovietica per i fatti di Katyn.

Dal 2010, il governo russo ha reso disponibili online i documenti relativi pubblicando il Dossier n.1, un pacchetto di sette documenti che provavano la responsabilità dell'Unione Sovietica nel massacro di Katyn

Tra questi la lettera nr. 794/b scritta da Lavrentij Pavlovič Berija (capo della polizia segreta dell'Unione Sovietica alle dipendenze di Stalin) il 5 marzo 1940, che preparò l’ordine di esecuzione per migliaia di prigionieri di guerra polacchi definiti “nemici ostinati e incorreggibili del potere sovietico, pieni di odio verso il sistema” e quindi pronti a lottare appena possibile contro l’URSS.

Sulla proposta di Berija, in inchiostro blu, Stalin approvò e scrisse il proprio nome, seguito dalle firme degli altri membri del Politburo, Voroshilov, Mikojan, Molotov, Kalinin e Kakanovich

Giornata Nazionale della Memoria dei “Soldati “Maledetti” (Żołnierzy Wyklętych), in ricordo degli eroi anticomunisti negli anni 1944-1956.

 

Il 1 Marzo viene commemorato in Polonia, l’anniversario dell’esecuzione della sentenza di morte a carico degli ultimi comandanti dell’Organizzazione “Wolność i Niezawisłość” (Libertà e Indipendenza).

Il 1 marzo 1951 nel carcere di Mokotów (Varsavia) il regime comunista, giustiziò sette comandanti dell’organizzazione Armia Krajowa o AK (Esercito Nazionale Clandestino), che dirigevano la resistenza polacca nazionale che dal 1945 lottava eroicamente per la Polonia libera.
I loro corpi furono sepolti in località sconosciute.
Il regime comunista conduceva su vasta scala repressioni dei “maledetti”, a seguito delle quali molti soldati sono stati condannati a morte o a reclusione.
Le truppe dell’esercito, della milizia e dell’apparato di sicurezza combattevano spietatamente contro il sostegno della popolazione civile anticomunista.
Ai tempi della Repubblica Popolare Polacca venne divulgata un’immagine non veritiera di soldati appartenenti a organizzazioni clandestine e non si parlava dell’atteggiamento patriottico di una parte delle divisioni.

La loro memoria, durante il periodo comunista, venne fortemente stigmatizzata dal governo di Varsavia, che li definì come elementi della “reazione sotterranea”.

Il processo di riabilitazione della memoria dei difensori che lottavano contro le autorità comuniste, è stato possibile solo dopo i cambiamenti democratici avvenuti in Polonia nel 1989, anche grazie all’impulso di Lech Walesa (fondatore della prima organizzazione sindacale indipendente denominata Solidarność e Presidente della Repubblica dal 1990 al 1995), che assegnò il primo “Ordine dell’Aquila Bianca”, la massima onorificenza polacca, alla memoria.

È stata anche intrapresa l’iniziativa mirata al ritrovamento dei luoghi della sepoltura delle vittime dei crimini staliniani per assicurare loro una dignitosa commemorazione in cimiteri e a una serie di ricerche scientifiche relative dal 1944 al 1956.

La loro lotta, è tutt’ora vista dalla società polacca come il più fulgido tra gli esempi di amor patrio.

Rovine della fortezza di Visegrád
Rovine della fortezza di Visegrád

 

Gruppo di Visegrád (Grupa Wyszehradzka)

Visegrád, famosa per l’omonimo gruppo, noto anche come Visegrád 4 o V4, è un interessante modello di politica estera del XIV secolo.

La località ungherese, zona  preferita dai sovrani magiari, divenne luogo per risolvere alcune problematiche che vedevano protagonisti i Regni di Polonia, Boemia e Ungheria.

Nel 1335, i tre regnanti si riunirono e concordarono sulla necessità di creare nuove rotte commerciali per evitare Vienna e di ottenere accessi più veloci a diversi mercati europei. In tale occasione, Giovanni I di Boemia e Carlo I d’Ungheria mediarono tra l’Ordine Teutonico e il Regno di Polonia circa il possesso di alcune regioni allora contese.

Il Re di Polonia Casimiro III Piast, noto anche come Casimiro il Grande (Kazimierz Wielki), riconosceva al sovrano di Boemia i diritti sulla Slesia; in cambio, Giovanni di Boemia declinava ogni rivendicazione sul trono polacco. Infine, i tre sovrani decisero di stringere un’alleanza difensiva in funzione anti asburgica. Un secondo incontro si svolse sempre a Visegrád nel 1339, ci furono notevoli ripercussioni nella storia polacca.  In tale situazione, Casimiro III decise di designare la corona d’Ungheria come suo successore, avvennuta nel 1370 in seguito al decesso per una ferita ricevuta durante una battuta di caccia e senza eredi maschi, la corona dei Piast passò a Luigi I d’Ungheria.

Iniziava così un’unione personale, che terminò con la morte di Luigi 1, avvenuta nel 1382.

 

 

 

Giacomo Antonini (1792-1854) ufficiale dell'esercito napoleonico, fu insignito della Legion d'Onore; dopo il 1815 si recò in Polonia a combattere per la difesa dell'indipendenza polacca, poi tornò in Italia e nella Prima  Guerra d'Indipendenza comandò le truppe piemontesi alla difesa di Vicenza contro gli austriaci; in questa occasione venne ferito ad un braccio, che gli fu amputato.

 

A Varallo Sesia (Vercelli), sul ponte Antonini sopra il torrente Mastallone, sorge un monumento a lui dedicato

 

 

 

 

POLONIA - 10 febbraio


Nel 1940 e nella prima metà del 1941, i sovietici deportarono più di 1.500,000 polacchi, la maggior parte suddivisi in quattro deportazioni di massa. La prima avvenne il 10 febbraio 1940, con più di 220,000 persone inviati nel Nord della Russia Europea. La seconda tra il 13 e il 15 aprile 1940, con l'invio di 300,000 - 330,000 deportati, principalmente nel Kazakistan. Una terza, che ammontava a più di 240,000, forse 400,000 persone, nel giugno e nel luglio del 1940. La quarta si verificò nel mese di giugno 1941, e riguardò 200,000 persone, tra cui numerosi bambini. Alla ripresa delle relazioni diplomatiche polacco-sovietiche nel 1941, venne stimato, sulla base di informazioni sovietiche, che più di 760,000 dei deportati morì, di cui una gran parte erano bambini, i quali ammontavano a circa un terzo dei deportati.
I sovietici utilizzarono gli stessi metodi di sottomissione utilizzati contro i loro stessi cittadini, in particolar modo quello della deportazione

 

 

ITALIA - 10 febbraio


Giornata del Ricordo dedicata alla commemorazione delle vittime dei massacri delle foibe e l’esodo Giuliano – Dalmata dal 1943 al 1947 da parte dei partigiani comunisti e delle truppe jugoslave, irreggimentati nel IX Korpus, e la loro polizia segreta, OZNA (Odeljenje za Zaštitu NAroda, Dipartimento per la Sicurezza del Popolo) comandate da Josip Broz (nome di battaglia "Tito").
Si stima che le vittime in Venezia Giulia e nella Dalmazia siano state circa 20.000, comprese le salme recuperate, più i morti nei campi di concentramento jugoslavi, mentre i giuliani, i fiumani e i dalmati italiani che furono costretti ad emigrare dalle loro terre di origine ammontino a un numero compreso tra le 250.000 e le 350.000 persone.
La data del 10 febbraio non fu scelta casualmente in quanto essa ricorda la firma, il 10 febbraio 1947, del trattato di pace che assegnava alla Jugoslavia l'Istria e la maggior parte della Venezia Giulia.

 

10 febbraio, Giornata del Ricordo dedicata alle vittime delle Foibe

 

Con la legge nr. 92 del 30 marzo 2004 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale nr. 86 del 13 aprile 2004, è stata stabilita dal Parlamento Italiano la data del 10 Febbraio quale “Giornata del Ricordo” per commemorare le vittime dei massacri delle foibe e l’esodo Giuliano – Dalmata. Dal 1943 al 1947 infatti, a Gorizia e in Istria, migliaia di cittadini italiani, per mano dei partigiani comunisti e delle truppe Jugoslave comandate da Josip Broz, noto come il Maresciallo Tito, furono barbaramente uccisi e gettati nei grandi inghiottitoi carsici detti appunto “foibe”. Furono uccise persone innocenti: l’unica loro colpa era l’essere italiani.

Nel 1943, dopo la caduta del regime fascista e l’armistizio con gli anglo – americani, il Regio Esercito Italiano perse il controllo dei territori di Istria e Dalmazia e ebbe inizio una sorta di vendetta da parte dei comunisti jugoslavi verso gli ex invasori. Le vittime non furono solo i rappresentanti del regime fascista e dello Stato italiano, ma anche qualsiasi manifesto o presunto oppositore politico, nonché moltissimi semplici civili italiani, potenziali nemici del futuro Stato comunista jugoslavo che si voleva creare.

Anche numerosi partigiani Italiani, soprattutto non comunisti, furono eliminati nello stesso modo. I soldati Titini rastrellavano le vittime nella notte e, dopo averle picchiate, torturate e depredate, le conducevano in fila indiana verso le foibe sulle alture circostanti, dopo aver loro legato i polsi dietro la schiena con del filo di ferro in una catena umana. All’imbocco della foiba, sparavano ai primi della fila che precipitavano in basso nel precipizio, trascinando con sé tutti gli altri.

Essendo le foibe profonde minimo venti metri era praticamente impossibile salvarsi; per di più i partigiani di Tito erano soliti gettare nella cavità carsica una bomba a mano per finire eventuali superstiti. Dopo il trattato di pace del Febbraio 1947 tra Italia e Jugoslavia, col quale Istria e Dalmazia venivano cedute ufficialmente alla Jugoslavia, quasi mezzo milione di italiani fuggì da quelle terre, abbandonando tutti i propri averi, per il terrore di essere infoibati o internati nei gulag di Tito. I pochissimi che riuscirono a salvarsi raccontarono quello che era accaduto.

 Il partito Comunista Italiano rimase invece in silenzio di fronte a quell’immane genocidio etnico; anche la Democrazia Cristiana non diede la necessaria rilevanza a questo esodo e non approfondì le atrocità delle foibe.

Quello delle foibe è uno dei tanti eccidi posti per troppi anni sotto silenzio, una delle tante tragedie dimenticate, una delle tante verità che si è cercato di insabbiare.

Fonte: “La verità delle foibe. 10 febbraio, la Giornata del ricordo” di Giorgio Litantrace, professore di Lettere, dottore in Ricerca Storica

Cavendish Road – Strada dei Genieri Polacchi nella battaglia di Montecassino 

 

La mulattiera che collegava la frazione di Caira con l’altopiano di Masseria Albaneta, era conosciuta da secoli dagli abitanti della zona di Cassino, diventò, a causa degli avvenimenti bellici del 1944, una delle vie di comunicazione più importanti durante la campagna militare sulla penisola appenninica tra il 1943 e il 1945.

 

Dominare questa regione significava avere allo stesso tempo il controllo sull’unica stradina di montagna della zona, la cui importanza come via di comunicazione su queste pendici rocciose e ripide crebbe velocemente fino a diventare fondamentale.

 

Nelle fasi successive della battaglia di Montecassino fecero uso di questo sentiero i soldati indiani, britannici e polacchi,

 

La strada, doveva sopperire a tutte le vie di comunicazione per il flusso di equipaggiamento militare (ciò comprendeva anche l’evacuazione dei feriti raggruppati nella parte superiore dell’ingresso alla strada), e per il transito dei mezzi corazzati pesanti e leggeri.

 

Di fatto era previsto il passaggio di tutti i mezzi a disposizione del Corpo Polacco al fine di consentìre l'attacco alle spalle delle postazioni tedesche che presidiavano la Linea Gustav (linea fortificata difensiva che divideva in due la penisola italiana a nord il territorio in mano alla Repubblica Sociale Italiana e alle truppe tedesche, a sud gli Alleati)

 

La Cavendish Road, detta anche "Strada dei Genieri Polacchi", realizzata nel 1944.fu costruita dai genieri indiani e neozelandesi, precedentemente era stata utilizzata dagli americani per approvvigionare le loro posizioni poste sulle colline nell'area di Montecassino.

 

Essa venne impiegata nel corso della terza battaglia di Cassino con lo scopo di effettuare un diversivo in grado di indirizzare più soldati nemici possibili a nord ed aumentare quindi le possibilità di riuscita di un attacco frontale all'Abbazia.

 

Dopo gli innumerevoli e fallimentari tentativi alleati, essa venne riutilizzata dai polacchi, nel corso dell'ultima battaglia. Il contributo dei soldati polacchi aI lavoro di ricostruzione del tratto di circa un chilometro e mezzo durati più di una settimana, comportarono l'uso di bulldozer e compressori ma soprattutto un minuzioso e faticoso lavoro manuale con picconi e piedi di porco, perforando ove necessario le rocce e facendole brillare con micro cariche.

 

Il percorso è ancora oggi percorribile.

11 giugno 1694 La battaglia di Hodów. “Le Termopili polacche”

 

Nel giugno del 1694 i Tatari, in gran parte convertiti alla fede del Profeta Maometto, invasero il territorio del Regno di Polonia. L'obiettivo era di saccheggiare villaggi, catturare persone e renderli schiavi o  venderli in cambio di riscatti.

 

Le forze polacche, da pochi anni reduci dalla vittoriosa battaglia di Vienna (settembre 1683), si prepararono a respingere un avversario infinitamente più numeroso. Invece di difendersi dietro le mura di una fortezza, i polacchi decisero di marciare contro il nemico, così da coprire la fuga dei numerosi contadini disperati.

 

400 Ussari (100 Chorągiew un’unità amministrativa di base di cavalleria pesante e 300 Pancerny della cavalleria leggera) provenienti dalle fortezze di Okopy Świętej Trójcy e Szaniec Panny Marii cavalcarono contro 40.000 tatari .

Al primo scontro con il nemico, nelle pianure di Hodów, gli ussari alati attaccarono l'avanguardia nemica, formata da 700 cavalieri, aprendosi così la strada fino al villaggio di Hodów.

 

I comandanti polacchi decisero di difendere il villaggio con fortificazioni di fortuna.

Mentre la cavalleria leggera innalzava le barricate, la cavalleria pesante teneva testa ai tatari, che attaccavano a più riprese i cavalieri polacchi senza riuscirne a piegarne le difese.

 

La superiorità numerica contava ben poco e le eccellenti corazze indossate dagli ussari respingevano facilmente la pioggia di frecce che i tatari lanciavano contro di loro. L'abilità con la sciabola faceva il resto, tale da impantanare un'armata cento volte più numerosa in un piccolo villaggio.

 

Non appena le difese furono ultimate, gli ussari incanalarono il nemico tra le rovine del villaggio. Facendo fuoco con pistole e archibugi, si trovarono presto senza munizioni, tanto da essere costretti a usare le migliaia di frecce usate dai tatari e utilizzarle come proiettili improvvisati.

 

Se i tatari riuscivano a superare indenni le precise raffiche polacche e le fortificazioni, si trovavano davanti a dei colossi coperti da corazze apparentemente invulnerabili dalle scimitarre brandite dal nemico. Caddero a centinaia, si stimano circa 2000 morti e innumerevoli feriti.

 

Dopo sei ore di attacco senza sosta, e incapaci di sconfiggere i coraggiosi polacchi (ne erano caduti meno di cento), il comandante dei tatari offrì loro la resa. Ovviamente la risposta del comandante degli Ussari fu semplice: nessuna resa.

 

A quel punto i tatari, sicuri dell'arrivo di un'armata in soccorso degli ussari, e terrorizzati dalla potenza di poche centinaia di cavalieri, si ritirarono dal villaggio, superando il confine e rinunciando all'intera invasione.

 

La vittoria, per la sua portata epica, riecheggiò per l'intera Europa. Il re Jan III Sobieski ricompensò ognuno degli eroi di Hodow: finanziò le cure mediche per i feriti, un ricco pagamento per ogni tataro fatto prigioniero e pagò generosi compensi a coloro che persero i cavalli in battaglia.

 

Ma la vera ricompensa per i valorosi difensori di Hodów fu l'immortalità: il merito di aver salvato la propria patria si unì alla memoria di un popolo.

 

A Hodów Il re fece erigere un monumento, in memoria eterna a quei pochi uomini che combatterono contro un'intero esercito

 

Il 25 ottobre 2014 a Hodow (Ucraina) si sono svolte le celebrazioni del 320° anniversario della battaglia, inaugurando il monumento completamente ristrutturato.

 

Il 6 giugno 2018 la Banca Nazionale di Polonia ha emesso monete d'argento da collezione in occasione del 324° anniversario che segna una delle battaglie più epiche e decisive della Polonia, combattuta nel giugno 1694

17 marzo 1861 nasceva il Regno d’Italia

 

Il 17 marzo 1861 nasceva il Regno d’Italia: è il giorno della nascita dello Stato italiano. Un unico stato, una sola nazione. Tutti i regni in cui era divisa la penisola si unificarono a seguito della Seconda Guerra d’Indipendenza che determinò la fase più incisiva del Risorgimento (spedizione dei Mille), al termine della quale si ebbe la formazione del Regno d'Italia

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La proclamazione avvenne in questa giornata da parte del primo Parlamento italiano. Si attese fino al 20 settembre 1870 per la totale unificazione dell’Italia, con la presa di Roma e la sconfitta dello Stato Pontificio.

 

Come capitale fu scelta Torino, per poi passare nel 1865 a Firenze e Roma dal 1871 anche se, il 17 marzo 1861, Roma era già stata insignita del titolo di “capitale morale”. Infatti essa e gran parte del Lazio costituivano ancora lo Stato della Chiesa, con il papa come sovrano e le truppe francesi di Napoleone III a difesa.

 

Il Regno d’ Italia cessò di esistere il 2 giugno del 1946, in seguito al referendum che sancì la nascita della Repubblica.

 

Il Regno d’Italia fu retto dalla sua nascita alla sua caduta, nel 1946, dalla dinastia reale dei Savoia

 

- Vittorio Emanuele II, ultimo re di Sardegna (dal 1849 al 1861) e primo re d’Italia dal 17 marzo 1861 al 8 gennaio 1878;

 

- Umberto I, dal 9 gennaio 1878 al 29 luglio 1900;

 

- Vittorio Emanuele III, dal 29 luglio 1900 al 9 maggio 1946;

 

- Umberto II, ultimo re d'Italia, dal 9 maggio 1946 al 10 giugno 1946.

 

Umberto II, passato alla storia come Re di Maggio, ottenne la corona il 9 maggio 1946, quando Vittorio Emanuele III abdicò in suo favore, ma di fatto aveva iniziato a governare nel giugno 1944, dal momento che il padre, nominandolo luogotenente del Regno, gli affidava la totalità del potere. 

L'Inno Nazionale Polacco e l'Inno Nazionale Italiano

 

Le differenze tra Italia e Polonia sono molte, ma anche le somiglianze. C’è un particolare che unisce ambedue le Nazioni: gli inni nazionali. Questo è l’unico caso al mondo in cui nel testo dell’uno è citato l’altro Paese e viceversa. Si intuisce dagli eventi storici accaduti nel periodo in cui sono stati composti, la prima metà del XIX secolo, quando sia la Polonia che l’Italia erano dominati dall’Impero Austro-Ungarico.

 

L’inno polacco, conosciuto come Mazurek Dąbrowskiego (Mazurka di Dąbrowski) è stato scritto ed eseguito per la prima volta nel 1797 a Reggio Emilia da Józef Wybicki, Tenente dell’Armata Polacca del Generale Jan Henryk Dąbrowski.

 

Dąbrowski aveva radunato un’armata con cui si unì a Napoleone nella Campagna d’Italia contro l’impero Austriaco.


I francesi promisero ai polacchi che la loro patria avrebbe riconquistato l’indipendenza se avessero combattuto uniti contro Russia, Austria e Prussia, che pochi anni prima si erano spartiti il territorio polacco.


È sull’onda del successo della spedizione militare nel Nord-Italia che Józef Wybicki scrisse la Mazurka, per celebrare il valore del Comandante e cantare l’amore per la Patria lontana. 


Le parole iniziali dell’inno “Jeszcze Polska nie zginęła” (La Polonia non è ancora scomparsa) fa riferimeno alla spartizione della Polonia nel 1795 tra le tre potenze circostanti, mentre nella strofa “Marsz, marsz, Dąbrowski, z ziemi włoskiej do Polski” (Marcia, Dąbrowski, dalla terra italiana alla Polonia) i militari incitano il loro Generale a guidarli prima possibile verso la Patria. Ecco spiegata la citazione dell’Italia nell’inno polacco.

 

Il Canto degli Italiani conosciuto anche come Fratelli d'Italia, Inno di Mameli, Canto nazionale o Inno d'Italia, è un canto risorgimentale scritto da Goffredo Mameli e musicato da Michele Novaro nel 1847, 50 anni dopo l’inno polacco.


Il canto divenne popolare durante il Risorgimento e nei decenni seguenti, sebbene che dopo l'unità d'Italia (1861), come inno, fu scelta la Marcia Reale, brano ufficiale di Casa Savoia. 


Il Canto degli Italiani era considerato troppo poco conservatore rispetto alla situazione politica dell'epoca: Fratelli d'Italia, di chiara connotazione repubblicana e anti-monarchica, non si conciliava con l'esito del Risorgimento, che fu di stampo monarchico. 


Le autorità tentarono di vietarlo, ma visto il fallimento, cercarono di censurare almeno l’ultima parte, estremamente dura con gli austriaci ancora formalmente alleati. Il testo non lasciava spazio ad interpretazioni: “già l’Aquila d’Austria le penne ha perdute, già il sangue d’Italia e il sangue polacco bevè col cosacco ma il cor le bruciò”


Dopo la dichiarazione di guerra italiana all’Austria (23 maggio 1915), persino le bande militari suonarono l’inno, tanto che il Re fu costretto a ritirare ogni censura del testo.

Il documento proviene dall'Archivio Centrale di Varsavia
Il documento proviene dall'Archivio Centrale di Varsavia

 

11 Settembre 1919: il Tenente pilota Giovanni Ancillotto vola a Varsavia

 

L’Ufficiale pilota Giovanni “Giannino” Ancillotto, medaglia d’oro al valore militare, compì un volo senza scalo con un biplano SVA 5 Ansaldo dall’aeroporto militare di Centocelle (Roma) fino a Varsavia portando un dispaccio ufficiale del Governo Italiano quale augurio per la rinascita del nuovo Stato Polacco al Primo Ministro e Ministro degli Esteri, Ignacy Jan Paderewski.

 

Il volo durò sette ore, oltre 1000 km senza scalo.

 

L’accoglienza a Varsavia fu calorosa e la contessa Hedwige Czapska Sobansko compose queste belle rime di benvenuto:

 

“Siete giunti a noi scendendo da una nuvola come uccelli giganteschi, come due giovani Dei. Guidati dal sole, avete solcato i cieli sfidando i pericoli d’un simil viaggio. Da ciò risalta il vostro coraggio. L’ardore d’Italia splende nei vostri occhi. Voi siete d’un paese dove la razza antica rinasce in ogni gesto e su tutti i visi. Portate lo slancio dei vostri cuori che ci hanno confortato nel dolore quando la Polonia era schiava e martire. L’ora della nostra libertà è giunta, voi avete attraversato il ciel per dirci prima- L’Italia con voi canta l’Osanna!”

 

11 Novembre 1918: la Polonia torna ad essere indipendente

 

L’11 novembre è una data molto importante per la Polonia e per tutti i polacchi, in quanto si celebra l’anniversario dell’indipendenza della Polonia (Narodowe Święto Niepodległośc), avvenuta nel 1918 dopo 123 anni di spartizioni compiute dall’Austria, dalla Prussia e dalla Russia. Questa festività è stata stabilita negli ultimi anni della Seconda Repubblica di Polonia ai sensi della legge del 23 aprile 1937, quindi quasi 20 anni dopo la riconquista effettiva dell’indipendenza. Si fece però in tempo a celebrarla soltanto in due occasioni, nel 1937 e nel 1938, ovvero prima che l’inizio della seconda guerra mondiale sconvolgesse le esistenze dei polacchi e di altri milioni di cittadini europei. Durante l’occupazione nazista, iniziata nel 1939 e terminata nel 1944, i festeggiamenti in pubblico furono tassativamente vietati, così come avveniva per qualsiasi altra manifestazione che rivendicasse l’identità polacca. Nel 1945 la festività fu abolita dalle autorità russe che la sostituirono con la Festa Nazionale del Rinascimento della Polonia, che veniva celebrata il 22 luglio. La Festa dell’Indipendenza è stata ripristinata nel 1989, dopo la caduta del comunismo.

Lo scoppio della Grande Guerra nel 1914 offrì una nuova chance di libertà. Il conflitto sul fronte occidentale e la rivoluzione in Russia (i bolscevichi annullarono i trattati di spartizione il 7 agosto 1918) furono sfruttati dagli indipendentisti, tra i quali Józef Piłsudski. Il Consiglio di reggenza proclamò l’indipendenza il 7 novembre 1918 e l’11 fu affidata a Piłsudski la guida del paese
Protagonista di questo evento, ancora oggi celebrato durante questa ricorrenza, fu il generale polacco Józef Piłsudski.
La celebrazione principale di questa festività si svolge per tradizione a Varsavia in Piazza Józefa Piłsudskiego, davanti alla Tomba del Milite Ignoto.

Lech Walesa Presidente della Polonia

 

Lech Walesa lavorava come elettricista, si impegnò fin da giovane nel sindacato e combatté per la difesa dei diritti dell'uomo.

 

Fondò Solidarność, la prima organizzazione sindacale indipendente del blocco sovietico: attraverso il movimento operaio cattolico, dopo una lunga e difficile stagione di confronto col regime comunista, giunse alla guida della Polonia, portando a termine una rivoluzione pacifica che, muovendo da comuni radici cattoliche, restituì la libertà al popolo polacco.

 

Wałęsa vinse le elezioni presidenziali nel dicembre del 1990 e diventò presidente della Polonia per i successivi cinque anni.

 

Durante la sua presidenza, la Polonia cambiò radicalmente, da paese comunista oppresso dallo stretto controllo sovietico e con una debole economia, a paese indipendente e democratico con un'economia di mercato in rapida crescita.

Legge marziale in Polonia

 

Il 13 dicembre del 1981, il generale Jaruzelski instaurava in Polonia lo Stato di Guerra.

 

In un comunicato televisivo, nel quale si rivolgeva alla Nazione come “soldato e capo del Governo”, dava il via ad un periodo di repressione che sarebbe durato fino al 1983.

 

Con lo Stato di Guerra vennero sciolte o sospese tutte le organizzazioni politiche tranne quella del PZPR (Partito Operaio Unificato Polacco), arrestati e imprigionati i maggiori attivisti di Solidarnosc e represse nel sangue le manifestazioni.

 

Un lungo processo, il cui epilogo sembra ormai lontano nel tempo, ha portato la Polonia alla libertà,all’autodeterminazione e, che con incredibile accelerazione, ad un ruolo attivo nell’Europa attuale.

1970 la rivolta degli operai di Danzica

 

La Polonia svolse un ruolo fondamentale nella storia dell’Europa nel secondo dopoguerra.

 

La dominazione comunista che seguì la guerra e che si protrasse fino al 1989 non solo ha dilaniato - o quantomeno tentato di dilaniare - il tessuto sociale e culturale di un intera nazione, ma ha dimostrate esso stesso la propria incapacità a livello politico e soprattutto economico.

 

Nel dicembre 1970 la Polonia fu oggetto di grandi movimenti, sorti dalle classi operaie e proletarie: la rivolta, scoppiata a Varsavia, fece pagare alla Polonia un altissimo tributo di sangue e raggiunse il suo apice nella città di Gdynia, sul mar Baltico, dove il 17 dicembre avvenne la più sanguinosa delle stragi causate dalla feroce repressione del governo. 42 operai uccisi e 1.000 feriti.

 

A Danzica e a Stettino sussistevano già da diversi giorni scioperi per ottenere aumenti salariali, ma il motivo contingente fu l’improvviso aumento dei prezzi del 20%, che causava una repentina perdita di valore del salario reale.

 

La rivolta non coinvolse le classi medio-alte né la borghesia, e assunse i caratteri tipici di una rivolta popolare mirata alla lotta proletaria: per due settimane in ogni città della Polonia gli scioperi erano all’ordine del giorno.

 

E tuttavia la rivolta non può essere definita una “sommossa della fame”: si tratta di una delle manifestazioni più evidenti delle contraddizioni interne di un paese in forte sviluppo economico ed industriale (all’epoca 11° paese industrializzato del mondo) dominato da un ferreo regime comunista, che cerca di divincolarsi dal social-imperialismo russo per trovare spazio nell’economia capitalista occidentale.

La conferenza di Jalta

 

Jalta, città sul Mar Nero nel Palazzo di Livadija che era stata la residenza estiva dello Zar Nicola II, luogo prescelto per l’incontro con Winston Churchill, Franklin D. Roosvelt e Iosif Stalin, dove si sarebbe dovuto decidere la nuova fisionomia del mondo dopo l’ormai prossima fine della seconda guerra mondiale.

 

I colloqui iniziarono il 4 febbraio 1945 senza un ordine del giorno preciso: si discusse del destino della Germania, della Polonia, della Jugoslavia e dell’intervento dell’URSS in Giappone. Fra i tre leader persistevano forti differenze ideologiche e culturali.

 

Nelle decisioni prese, è ormai riconosciuto da diversi storici che Stalin ebbe la meglio:

-      - sulla divisione della Germania venne previsto che la porzione francese venisse stabilita non nella zona di competenza dell’URSS;

 

-    - l’URSS ottenne di estendere i suoi confini in Polonia mentre questa venne compensata a occidente e ottenne che il governo della Polonia venisse fatto sulla base del governo ombra che si trovava a Mosca e non sulla base di quello che si trovava a Londra.

La “liberazione” di Varsavia

Il 17 gennaio 1945, i soldati dell’Armata Rossa entrarono in quello che restava della città di Varsavia. Nell’autunno dell’anno precedente l’Armata Rossa non aveva reagito mentre i nazisti reprimevano violentemente un’insurrezione della resistenza polacca scoppiata in città. Almeno 150mila civili furono uccisi nel corso di due mesi di combattimenti, mentre l’esercito sovietico restava al di là del fiume Vistola (Rivolta di Varsavia, 1 ago 1944 – 2 ott 1944).

La 1^ Armata Polacca (Pierwsza Armia Wojska Polskiego, nota anche come Esercito di Berling), che operava alle dipendenze dell’Armata Rossa, guidò l’avanzata al ritmo dell’inno nazionale polacco. Il colpo finale fu sferrato dai carri armati sovietici della 2ª Armata della Guardia, che si fece strada nelle retrovie nemiche, tagliando tutte le vie di ritirata per la guarnigione tedesca. Le truppe che entrarono in città erano seguite a breve distanza dagli uomini della polizia segreta che si diedero da fare per completare ciò che era stato iniziato dai nazisti.

Alcuni polacchi sperarono che il giorno della liberazione della città significasse la fine delle loro sofferenze, ma si sbagliavano. Stalin temeva i nazionalisti polacchi almeno quanto Hitler (già all’epoca della spartizione i russi avevano ucciso in segreto migliaia di polacchi considerati “controrivoluzionari”). L’NKVD (Commissariato del Popolo per gli Affari Interni), la polizia politica che sarebbe diventata il KGB (Comitato per la Sicurezza di Stato), si diede subito da fare per identificare gli ex membri della resistenza. Decina di migliaia di polacchi furono uccisi, deportati o imprigionati dai sovietici. La cosiddetta liberazione di Varsavia, per la gran parte dei polacchi, significò soltanto passare delle mani di una dittatura a quelle di un’altra.

Il centro della moderna Varsavia, sviluppatasi nell’Ottocento, fu distrutto durante la Seconda Guerra Mondiale. La città fu colpita da tre ondate di distruzioni belliche. La prima nel 1939 quando i tedeschi bombardarono la città assediata; la seconda nel 1943 a causa dei combattimenti tra le SS e gli insorti del ghetto ebraico; la terza nel 1944 durante l’insurrezione, Varsavia fu totalmente distrutta, i tedeschi fecero saltare tutti gli edifici ancora rimasti e la città si trasformò in una distesa di rovine e macerie. Da 1.300.000 abitanti ne rimasero solo 1.000.

 

La ricostruzione ebbe inizio immediatamente dopo la fine della guerra. Tutti gli edifici storici e i palazzi vennero meticolosamente restaurati, ponendo la massima attenzione a restituire il loro aspetto originario. La Città Vecchia e la Città Nuova furono tutte ricostruite. La vista della Città Vecchia dalle rive della Vistola e le chiese situate sul lungofiume divennero ancora una volta le parti più belle della città.

Montecassino

 

Il legame con l’Italia si intensificò durante la Seconda guerra mondiale.

 

L’esercito polacco in esilio, agli ordini del generale Anders, conquistò Montecassino (11-19 maggio 1944) dopo tre fallimentari tentativi delle truppe anglo-francesi.

 

La mitica battaglia, che portò allo sfondamento della Linea Gustav e quindi alla rapida liberazione di Roma, culminò con la presa delle rovine dell’abbazia, precedentemente distrutta da un folle bombardamento alleato.

 

Sulla cima del monte venne issata la bandiera polacca.L’armata polacca combattè con tenacia: “per la nostra e la vostra libertà” è oggi scritto al cimitero polacco di Montecassino.

La speranza era quella di riscattare la propria nazione, combattendo per la libertà di altre. 

 

Alla fine del conflitto molti combattenti polacchi restarono in Italia. Tra loro anche Gustaw Herling, uno dei più importanti scrittori polacchi del Novecento, sposò una figlia di Benedetto Croce e scrisse molti romanzi in italiano. Morì a Napoli nel 2000.

Le donne che liberarono l'Italia in camion

 

Le Camioniste Polacche nella Seconda Guerra Mondiale. 1.500 Ausiliarie del II° Corpo d'Armata Polacco, unico esercito ad avere una compagnia di trasporto tutta al femminile, che ha notevolmente contribuito alla liberazione d’Italia.

Una storia di coraggio e sofferenza, che portò ragazze scampate alle deportazioni e alle carceri sovietiche ad essere addestrate insieme ai loro compatrioti maschi in Iraq, sotto la supervisione dell'esercito inglese. Poi, passando dalla Palestina, approdarono tra il dicembre 1942 e l'aprile 1943 in Italia, dove, vicino a Taranto, venne allestito il primo Quartier Generale del II° Corpo d'Armata Polacco. Furono gli inglesi a deciderne la destinazione,: i polacchi dovevano sostituire i reparti alleati che andavano trasferiti dall'Italia alla Gran Bretagna per partecipare allo sbarco in Normandia.  

Una parte fondamentale del II° Corpo d'Armata Polacco fu rappresentata dalle donne che guidavano i camion, per la prima volta ricoprirono ruoli tipicamente maschili. 

Queste donne guidavano grossi camion e giravano da sole, infrangendo regole non scritte e tradizioni e stereotipi dell'epoca.   

Furono queste donne coraggiose a trasferire i soldati polacchi, conquistando posizioni e risalendo, lungo la costa adriatica, la nostra penisola, da Cassino fino alla Romagna:  

Molte di queste donne erano casalinghe, o lavoravano nei campi: poi gli arresti e le deportazioni le costrinsero a lasciare le proprie vite, ma che con grande forza e determinazione si misero al servizio dei propri ideali. Sono state tutte, delle piccole e sconosciute eroine nazionali.

Durante la Campagna d’Italia il II° Corpo d’Armata polacco si distinse in varie operazioni militari come la conquista di Montecassino (Linea di Gustav) e le battaglie di Piedimonte (Linea di Hitler), Loreto, Ancona, sfondamento della Linea Gotica, Faenza e la liberazione di Bologna.

I polacchi combattevano fianco a fianco con le truppe italiane del I Raggruppamento Motorizzato, la prima grande unità combattente del ricostituito Esercito Italiano e con diverse unità partigiane, riconfermando il fraterno spirito d’amicizia che da secoli univa la Polonia e l’Italia.

Al Cimitero Militare Polacco di Montecassino, dove sono sepolti oltre mille soldati polacchi, sono rimaste queste parole scolpite sulla grande croce che sovrasta il cimitero, eretta su Monte Calvario:  – “Per la nostra e vostra libertà  – Noi soldati polacchi abbiamo dato la nostra anima a Dio, la nostra vita alla terra italiana, i nostri cuori alla Polonia”.

La rivolta di Sobibor

 

Furono oltre 300.000 i prigionieri che morirono all’interno del campo di sterminio di Sobibor, piccolo borgo a 80 km da Lublino, in Polonia. Questo campo, costruito nel marzo 1942 ed entrato in funzione il 16 maggio successivo, era posizionato nei pressi della ferrovia Chelm-Włodawa, così che i convogli dei prigionieri giungessero direttamente al suo interno. Delle centinaia di migliaia di uccisi, ben 207.000 provenivano dalla sola Polonia, mentre i restanti dalla Cecoslovacchia (31.000), dai Paesi Bassi (34.300), dalla Lituania (14.000), dalla Germania e dall’Austria (10.000) e dalla Francia (4000). A dirigere i lavori di costruzione venne chiamato il Capitano delle SS Richard Thomalla, lo stesso che realizzerà i campi di Treblinka e Belzec e che, alla fine della guerra, catturato dai Sovietici, il 12 maggio 1945 verrà giustiziato a Jicin, in Cecoslovacchia. Sobibor, però, e i suoi prigionieri, si resero protagonisti di una rivolta contro i guardiani delle SS. Tutto ebbe inizio da Leon Feldhendler, già a capo del Consiglio ebraico della città polacca di Zolkiew, che riunì attorno a sé un gruppo di detenuti fidati, con i quali iniziò a pianificare la fuga. Quando, poi, nel campo di sterminio giunse un ufficiale ucraino, Aleksandr Aronovic Pecerskij, grazie alla sua esperienza in combattimento e al suo addestramento, vennero stabiliti i piani di azione. Pecerskij, catturato dai Tedeschi nell’ottobre 1941, venne inizialmente portato nel campo di lavoro di Minsk, in Bielorussia; soltanto il 22 settembre 1943 venne trasferito ai lavori forzati nel campo di Sobibor. I Tedeschi, dopo quanto avvenuto il 2 agosto 1943 a Treblinka, ossia una rivolta delle squadre di lavoro che appiccarono incendi alle baracche, riuscendo anche a fuggire, rafforzarono le difese di Sobibor, circondando l’intera struttura con un campo minato. L’azione pianificata da Pecerskij e Feldhendler ebbe inizio il 14 ottobre 1943. Il piano prevedeva di attirare in luoghi isolati gli ufficiali delle SS a guardia del campo, per poi eliminarli uno ad uno, dopodiché, utilizzando le armi catturate ai Tedeschi uccisi, sarebbe stata assaltata l’armeria principale, così da aprirsi un varco dall’uscita principale e fuggire nei fitti boschi della zona, facendo perdere le proprie tracce. In totale vennero uccise undici SS, ma la scoperta del cadavere di una di esse, il Sergente Rudolf Beckmann, mise in allarme le altre guardie. Vistisi scoperti, i prigionieri in rivolta si giocarono il tutto per tutto per la libertà: in oltre seicento tentarono la fuga, lanciandosi in una corsa attraverso i campi minati e le raffiche di armi automatiche delle SS che cercavano di fermarli. Di questi, trecento riuscirono ad evadere, ma circa settanta vennero uccisi nella fuga e altri 170 furono catturati nei giorni seguenti e immediatamente fucilati. Tra i sopravvissuti, vi fu lo stesso Pecerskij, che continuò a combattere i Tedeschi aggregandosi ad un’unità di partigiani sovietici, fino a quando non venne gravemente ferito ad una gamba, costringendolo a ritirarsi dalla lotta. Rientrato in Patria dopo la guerra, non ebbe vita facile: non ricevette alcun riconoscimento per la rivolta a Sobibor, mentre il nuovo clima di sospetto verso tutti i prigionieri sovietici, colpevoli secondo Stalin di essersi arresi senza combattere ai Nazisti, lo portò a essere nuovamente arrestato, questa volta dalla polizia politica sovietica, la NKVD. Imprigionato nuovamente nel 1948 assieme al fratello in un campo di lavoro in Siberia, che morirà a causa di una grave complicazione di diabete, verrà rilasciato solamente nel 1953, grazie anche alle numerose pressioni al Governo di Mosca da parte dei superstiti di Sobibor fuggiti in quel lontano 14 ottobre 1943.

Soldati tedeschi sulla penisola di Westerplatte dopo la battaglia
Soldati tedeschi sulla penisola di Westerplatte dopo la battaglia

La battaglia di Westerplatte

 

La mattina del 1 settembre 1939 la corazzata tedesca Schleswig-Holstein lasciò gli ormeggi di Danzica per cannoneggiare la vicina base di Westerplatte.

 

Le truppe tedesche pensavano di conquistare Westerplatte in poche ore ma la guarnigione polacca con meno di duecento soldati riuscì a resistere per più di una settimana.

 

Settanta i polacchi che perirono nella difesa della penisola mentre le perdite dei tedeschi ammontarono a trecento uomini.

 

Essa si svolse dal 1 al 8 settembre 1939 e si concluse con l'occupazione del deposito militare polacco,

 

Era l’inizio della Seconda Guerra Mondiale che durerà fino ad aprile del 1945 e comporterà oltre 50 milioni di morti (30 mln nella sola Europa), oltre 2/3 dei quali civili.

La Grande Guerra e l’Esercito Polacco

 

La Regia Mandria di Chivasso (Torino) una ex tenuta sabauda, fu realizzato, dal 1760 al 1770, su ordine del Re Carlo Emanuele III di Savoia per razionalizzare e implementare l’allevamento dei cavalli necessari alla Corte e all'esercito sabaudo.

 

Posta su un vasto territorio pianeggiante, alla vigilia della Prima Guerra Mondiale la tenuta fu adibita a un campo di aviazione militare e di riparazione di aerei da combattimento.

 

Nell’autunno del 1918 gli hangar dell’aeroporto militare furono trasformati in baracche, usate per offrire un’ospitalità temporanea ai soldati di nazionalità polacca dell’esercito austro-ungarico. Infatti, in seguito agli accordi tra il Governo Italiano e il Comitato Nazionale Polacco di Parigi, fu costituito alla Mandria di Chivasso un campo destinato ad accogliere i volontari dell’esercito polacco allora in via di formazione, arruolati tra i prigionieri dell’esercito austro-ungarico.

 

Complessivamente il campo ospitò circa 22.000 militari polacchi, che nel corso del 1919 furono inviati in Francia, da dove raggiunsero la Polonia che aveva da poco riacquistato l’indipendenza.

 

Il piccolo cimitero della Mandria accolse i primi venti militari deceduti dopo l’arrivo in Piemonte e in loro memoria fu posta all’interno del cimitero una lapide commemorativa; in seguito, perdurando l’epidemia alcune centinaia di militari furono sepolti nei cimiteri di Chivasso, Ivrea e Torino, dove riposano tuttora.

 

La Tenuta La Mandria di Chivasso è stato oggetto di un accurato restauro conservativo secondo i criteri approvati dalla Soprintendenza Belle Arti e Paesaggio della Provincia di Torino che ha adeguato la struttura secondo elevati standard qualitativi moderni, ma nel pieno rispetto della tradizione

 

 

Józef Klemens Piłsudski 

 

Józef Klemens Piłsudski (Zułów, 5 dicembre 1867 – Varsavia, 12 maggio 1935) è stato un rivoluzionario, generale e politico polacco.

Leader delle forze armate polacche e della Seconda Repubblica di Polonia (1926-1935), fu una delle più importanti figure politiche della sua era, ed è considerato il padre della riconquistata indipendenza polacca, 123 anni dopo la terza spartizione della Polonia.

Proveniente da una famiglia della piccola nobiltà polacca, Piłsudski studiò medicina all'Università di Charkiv (Ucraina) ed entrò nel movimento socialista rivoluzionario. Arrestato dalla polizia russa nel 1900, riuscì a evadere nel 1901 e a espatriare in Galizia (allora provincia dell'Impero austro-ungarico). Qui, contrariamente al movimento dei democratico - nazionali di Roman Dmowski, filorusso e antitedesco, auspicò il crollo della Russia con l'aiuto tedesco per ottenere l'indipendenza polacca.

Nel 1914, allo scoppio della prima guerra mondiale, Piłsudski organizzò le legioni polacche che combatterono a fianco degli Imperi Centrali (Austria-Ungheria e Germania) contro la Russia. Il 5 novembre 1916 gli Imperi Centrali proclamarono l'indipendenza del Regno di Polonia, ma come semplice stato fantoccio da utilizzare in funzione antirussa.

Nel 1917 Piłsudski ottenne un seggio nel Consiglio di Stato del nuovo regno, ma rifiutò di prestare il giuramento di fedeltà, volgendosi così anche contro gli Imperi Centrali, che lo fecero arrestare e internare a Magdeburgo fino alla fine della guerra.

Nel novembre 1918, sconfitti gli Imperi Centrali, Piłsudski rovesciò il Consiglio di Reggenza da essi istituito per governare la Polonia e assunse la guida della nuova Repubblica Polacca.

Con il Trattato di Versailles nel 1919, la Polonia ottenne il riconoscimento dell'indipendenza, della Galizia, della Posnania e di uno sbocco sul mare (il Corridoio Polacco) con il porto di Gdynia.

Nello stesso anno, nominato capo dello Stato, Piłsudski cercò di costituire una federazione con lituani, ruteni e ucraini - il progetto Międzymorze - approfittando della debolezza russa: nominato comandante dell'esercito con grado di Maresciallo di Polonia a marzo 1920, invase l'Ucraina fino a Kiev (guerra sovietico-polacca).

Ad agosto 1920 la controffensiva dell'Armata Rossa fu respinta alle porte di Varsavia grazie ad una manovra a tenaglia dell'esercito polacco presso un'ansa della Vistola.

Gli alleati occidentali (Gran Bretagna, Francia) si limitarono all'appoggio verbale. La guerra terminò con il Trattato firmato a Riga, il 18 marzo 1921.

Nel 1921 dopo l'entrata in vigore della Costituzione Parlamentare  e la vittoria elettorale dei democratico-nazionali nel 1922, Piłsudski si ritirò dalla politica, ma vista la crescente tensione interna tra crisi politico-economica e conflitti etnici, attuò, ispirandosi alla marcia su Roma di Benito Mussolini, un colpo di Stato (14 maggio 1926) con cui assunse poteri dittatoriali. Sanacja (Risanamento) era il nome dell’ alleanza politica creata da Piłsudski dopo il colpo di Stato. Cumulando le cariche di Primo ministro (1926-1928, 1930), ministro della Guerra (1926-1935) e capo di Stato Maggiore, governò dittatorialmente con l'appoggio dell'esercito, e nel 1935 promulgò una nuova Costituzione (democrazia articolata) che aboliva, di fatto, il sistema parlamentare.

In politica estera, per salvaguardare l'indipendenza della Polonia dalle mire dei suoi vicini, cercò sempre di impedire il risorgere della potenza tedesca e dell'espansionismo russo: dopo l'ascesa dei nazisti di Adolf Hitler a gennaio 1933, sembrò volersi accordare con la Francia per una guerra preventiva alla Germania, ma poi stipulò un patto di non aggressione con il Reich nel 1934.

Morì di cancro a Varsavia nel 1935 e fu sepolto nella Cattedrale del Wawel di Cracovia. 

Durante la seconda guerra mondiale, dopo aver invaso la Polonia e conquistato Cracovia, i tedeschi resero omaggio alla sua tomba.

La rivolta di Poznan

 

Il 27 Dicembre 1918 inizia la sollevazione della Grande Polonia (Granducato di Poznań), insurrezione militare portata avanti dai Polacchi contro la Germania.

"Wielkopolska" era il nome di uno Stato Polacco del primo Medioevo. Il nome di Grande Polonia fu utilizzato per la prima volta nel 1257 in latino, nella forma "Polonia Maior", e in polacco come "w Wielkej Polszcze" nel 1449. La regione si distingueva dalla Piccola Polonia, una regione della Polonia sud-orientale con capitale Cracovia.

Dal 1795 la Polonia aveva cessato di esistere come stato indipendente. Fino alla Grande Guerra si susseguirono diverse sollevazioni per tentare la riconquista dell'indipendenza, nessuna delle quali ebbe tuttavia successo. Alla sollevazione del 1806 seguì la creazione del Ducato di Varsavia, il quale durò otto anni prima di una nuova spartizione tra Prussia e Russia.

Alla fine della Prima guerra mondiale la proposta di Wilson di una Polonia indipendente non aveva fissato dei confini universalmente accettabili. La maggior parte del territorio polacco era reclamato dalla Germania, con il resto dello Stato conteso tra Russia e Austria-Ungheria. La porzione rivendicata dalla Germania includeva il territorio della Grande Polonia, del quale Poznań era la maggior città industriale.

I Polacchi avevano ideato diversi preparativi per la sollevazione sin dall'abdicazione del Kaiser Guglielmo II del 9 novembre 1918, la quale segnò la fine della monarchia tedesca, sostituita dalla Repubblica di Weimar (Reich tedesco tra il 1919 e il 1933). A poche ore dal discorso di denuncia tenuto dal famoso pianista polacco Paderewski, i cittadini di Poznań e di altre località diedero il via alla rivolta contro la Germania.

Le forze rivoltose si componevano di membri della sezione prussiana della Polska Organizacja Wojskowa (organizzazione militare polacca), che iniziarono a formare la Straż Obywatelska (Guardia dei Cittadini), più tardi rinominata Straż Ludowa (Guardia del Popolo), e molti volontari, per lo più veterani della Prima guerra mondiale. L'organo direttivo era il Naczelna Rada Ludowa (Alto Consiglio del Popolo). I comandanti militari che guidarono la sollevazione furono il capitano Stanisław Taczak, comandante temporaneo dal 28 dicembre 1918 all'8 gennaio 1919, e più tardi il generale Józef Dowbor-Muśnicki.

Alla metà del gennaio 1919 le forze ribelli riuscirono a ottenere il controllo della maggior parte della Provincia di Posen, ingaggiando duri combattimenti con le truppe dell'esercito tedesco, almeno fino al cessate il fuoco del 16 febbraio, attraverso il quale la delegazione francese costrinse la Germania a riconoscere l'esercito della Grande Polonia come una forza alleata. L'Alto Comando di Poznań fu assoggettato al governo di Varsavia il 25 maggio 1919. Il destino dei territori della Grande Polonia fu poi incluso nel trattato di Versailles.

 

Giuseppe Mazzini e gli Stati Uniti d'Europa

 

Per la realizzazione della futura Europa dei popoli Mazzini propose vie di volta in volta diverse. Avanzò la tesi delle tre nazioni guida (la Polonia per gli Slavi, la Germania per l’Europa centrale, l’Italia per il Mezzogiorno), poi ideò la fruizione di una grande alleanza tra i popoli in grado di lottare per creare gli Stati Uniti d’Europa.

 

Mazzini non ebbe tuttavia alcuna esitazione sulla conclusione cui sarebbe dovuto giungere il processo, che è quello della libertà, dell’uguaglianza, dell’umanità e della pace. “Le nazioni saranno sorelle”, sentenziò Mazzini nell’alveo della sua utopia.

 

Pace e fraternità tra i popoli: lo stesso binomio sarò poi celebrato da Victor Hugo al Congresso della pace tenuto a Parigi nel 1849.

 

“Un giorno verrà in cui voi, Francia, voi Russia, voi Inghilterra, voi Germania, voi tutte, nazioni del Continente, senza perdere le vostre distinte qualità e la vostra libera e gloriosa individualità, vi fonderete strettamente in una superiore unità”.

Polonia: scoppia la rivolta di Novembre

 

Fu questa una ribellione armata contro il dominio dell'Impero Russo in Polonia e Lituania. La rivolta ebbe inizio il 29 novembre 1830, a Varsavia, sulla base dell'azione di un gruppo di giovani cospiratori dell'Accademia Militare dell'Esercito Imperiale Russo di Varsavia, capeggiati da Piotr Wysocki (Warka, 10 settembre 1797 – Warka, 6 gennaio 1875). Nonostante il conseguimento di alcuni successi locali, la rivolta fu sedata dall'esercito russo di Ivan Paskevich (Poltava, 19 maggio 1782 – Varsavia, 1º febbraio 1856), superiore numericamente.

Il regno di Polonia era stato assunto nel 1829 da Nicola I Romanov (Carskoe Selo, 6 luglio 1796 – Pietroburgo, 2 marzo 1855), "zar di tutte le Russie". Questi aveva affidato il governo del Paese a un viceré, il granduca Costantino - Konstantin Pavlovič Romanov (Tsarskoye Selo, 27 aprile 1779 – Vitebsk, 27 giugno 1831), nei confronti del quale il movimento liberale e patriottico si mostrò sempre più ostile. Quando giunse la notizia della rivoluzione di Luglio in Francia e lo zar manifestò esplicitamente l'intenzione di intervenire militarmente contro i rivoluzionari francesi mandando in avanguardia l'esercito polacco, le associazioni clandestine stabilirono che fosse ormai giunto il momento di reagire. Un gruppo di ufficiali e di proprietari terrieri polacchi promosse così una rivolta a Varsavia, costrinse il granduca a ritirarsi e, dal momento in cui poté contare sull'appoggio di gran parte delle guarnigioni, dichiarò decaduto lo zar di Russia.

La battaglia tra Polacchi e Russi fu sanguinosa, e durò più di un anno. Gli insorti speravano nell'aiuto francese; la monarchia orleanista, ormai, aveva però intrapreso la via dei compromessi e non era più disposta a sfidare l'ostilità degli Imperatori di Russia e d'Austria. Casimir Pierre Périer (Grenoble, 11 ottobre 1777 – Parigi, 16 maggio 1832), politico francese e presidente del Consiglio dal 1831, dichiarò che "il sangue dei Francesi era riservato alla Francia" e spiegò che il principio di non intervento non includeva affatto la necessità di una guerra quando questa non corrispondeva ai superiori interessi del Paese.

Nel settembre 1831 l'esercito russo batté definitivamente gli insorti e occupò Varsavia. Il regno polacco fu conservato nominalmente ma, in sostanza, fu assorbito nel sistema autocratico dell'Impero. Cominciò da quel momento la cosiddetta opera di "snazionalizzazione": 45000 famiglie della piccola nobiltà polacca furono deportate brutalmente in Siberia e, contemporaneamente, iniziò l'emigrazione spontanea dei Polacchi verso l'Occidente.

"La scomparsa della libertà in Polonia coincise con una fuga di soldati di ventura, di intellettuali, di professori, di poeti e di musicisti che affermarono il genio slavo nelle capitali d'Europa". (Fisher)

La rivoluzione polacca del 1830, dall'esito in apparenza rovinosamente fallimentare, ricordò tuttavia all'Europa l'esistenza di un nucleo di sentimento nazionale forte, e di ingiustizie nazionali non ancora placate. I Francesi non dimenticarono mai che la ribellione polacca era una delle tante dirette conseguenze del moto di luglio ed era stata incoraggiata proprio da Francesi eminenti. Si formò così tra Francia e Polonia un legame importante, tuttora apprezzabile.

Il garibaldino Francesco Nullo in Polonia

 

Centocinquanta anni fa nella lontana Polonia il garibaldino Francesco Nullo cadeva in battaglia combattendo contro i russi per la libertà della "nazione sorella". Italia e Polonia avevano un percorso storico comune, che aveva il 1797 come base di partenza, quando a Reggio Emilia nasceva il tricolore e le Legioni polacche di Jan Dabrowski intonavano per la prima volta il canto nazionale dove si parlava della marcia «dalla terra d’Italia alla Polonia»; poi sarebbe venuto anche l’Inno di Mameli a rendere omaggio al Paese dell’aquila bianca, ed è un caso unico la vicendevole citazione.

 

Popoli che soffrivano il tallone straniero. Mazzini con la sua Giovine Europa aveva vaticinato che la prima delle due nazioni che fosse riuscita a riconquistare libertà e indipendenza sarebbe corsa in aiuto dell’altra.

 

L’Italia si proclamò regno nel 1861, anche se il processo risorgimentale si sarebbe concluso con la prima guerra mondiale, ma la Polonia sarebbe risorta solo nel 1918.

 

I polacchi, tra l'altro, avevano partecipato anche all’impresa dei Mille. Il bergamasco Francesco Nullo, colonnello garibaldino (ma per i polacchi è generale), era corso a mettere la sua spada al servizio della libertà nell'insurrezione di gennaio 1863. Moriva a 37 anni a Krzykawka, il 5 maggio. Per i polacchi è un eroe nazionale, che tutti conoscono e tutti ricordano.

 

Luigi Caroli e la causa polacca

 

Nel gennaio del 1863, scoppiò, nel regno di Polonia, una violenta insurrezione contro il dominio russo che, preparata da tempo dal comitato nazionale, fu coronata all'inizio da notevole successo.

 

In Italia le notizie provenienti da Varsavia sulle vittorie del generale Langiewicz suscitarono ondate di entusiasmo. Un po' dappertutto vennero organizzati comizi, raccolti fondi, emessi proclami a sostegno della causa polacca.

 

Luigi Caroli (1834-1865), Sottotenente dei cavalleggeri di Saluzzo, fu un’eroica figura del periodo risorgimentale.

 

Lasciò gli agi, il palazzo, la nobiltà della sua famiglia di imprenditori della seta di Stezzano (in provincia di Bergamo), per prendere parte alla spedizione (che finanziò quasi completamente) di Francesco Nullo per liberare la Polonia

 

Fatto prigioniero dai russi, fu condannato a dodici anni di lavori forzati nell'estrema Siberia.

 

La sua lunga e drammatica odissea di deportato si concluse con la tragica morte in un campo di prigionia nel Trans Bajkal. 

Sigismondo I, detto il Vecchio e Bona Sforza - Dipinto di Henryk Rodakowski
Sigismondo I, detto il Vecchio e Bona Sforza - Dipinto di Henryk Rodakowski

Bona Sforza Regina di Polonia

 

Bona Sforza d’Aragona nel 1518 sposò a Napoli (per procura) il re polacco Sigismondo I, detto il Vecchio, diventando così regina consorte di Polonia e granduchessa di Lituania.

 

Il soggiorno di circa quaranta anni di questa nobildonna italiana nell’Unione polacco-lituana, che all’epoca era uno dei più grandi paesi d’Europa, sconvolse la mentalità polacca lasciando un segno nella sua storia e nella sua cultura.

 

Con la regina Bona, alla corte di Wawel a Cracovia, entrarono i gusti e le eccellenze italiane con dei nuovi alimenti, nuove ricette gastronomiche e nuove abitudini.